Due stanze, due mondi, due modi di sopravvivere con le parole. L’assurdo entra in scena, e lo spettatore resta sospeso tra gioco, vuoto e poesia
di Roberto Oddo
Raramente un’esperienza teatrale è stata tanto discussa e teorizzata quanto quella che Martin Esslin definì, con cautela, teatro dell’assurdo. La matrice esistenzialista è evidente, ma spesso si dimenticano le avanguardie storiche e una riflessione sulla parola teatrale senza eguali prima o dopo Beckett e Ionesco, nomi eccellenti in un panorama ben più esteso e sfumato.
Piero Carriglio, direttore artistico del Teatro Biondo di Palermo, apre la stagione dello Stabile con due classici. Il sipario si alza su Delirio a due, tardo lavoro di Eugène Ionesco, “ambientato” in un appartamento affacciato su un mondo in guerra. Due coniugi, malassortiti ma indispensabili l’uno all’altro, giocano a destabilizzare il significato delle cose: oggetti, animali, persone. Tutto sfugge alle definizioni, tutto è messo in crisi.
In questo universo, l’individuo non esiste più come identità riconoscibile: non riconosce sé stesso, né corpo né immagine. La tragedia arriva a un parossismo che stanca prima di commuovere: non più vita o morte possibili, solo vuoto roboante. Lo spettatore assiste come davanti alla rottura di macchine umane, senza empatia possibile.
Mettere in scena un testo così è una sfida. Carriglio disegna una regia chiara, dal ritmo costante, che alleggerisce i vapori cerebrali del testo. Fondamentali le interpretazioni di Gianpaolo Poddighe e Liliana Paganini, sostenuti da un cast attento anche nei ruoli brevi. La scena, coloratissima e prospettica, evoca certi cartoni animati e dà una tridimensionalità scheletrica ma efficace. Costumi, luci e musiche di qualità ne sono architettura portante.
Cambia il contesto ma resta l’impalcatura nella seconda parte: Finale di partita di Samuel Beckett. Qui lo spazio si distende orizzontalmente, il fondale è nudo e verticale, come spesso accade in Beckett. Ancora protagonista Poddighe: da lui irrequieto in Ionesco a un Hamm paralizzato e verbosamente furioso. Al suo fianco Umberto Cantone (Clov), misurato e convincente.
La parola diventa materia autonoma: incapace di definire il mondo, acquista dignità proprio nella sua impotenza. L’universo di dialoghi si dispiega in tempi lenti, forse a scapito della fluidità, ma capaci di offrire tutti i sensi possibili di questo “finale di partita con sé stessi”.
Con loro, Namm e Nell, affidati a due graditi ospiti: Franco Scaldati e Gaspare Cucinella. Oggetti umani, vite mutilate, finestre che promettono aria e offrono claustrofobia: Beckett continua a usare la parola come indagine estrema e ci consegna un testamento spirituale controverso, che lascia a ognuno solo ciò che può davvero raccogliere.
Delirio a due
di Eugène Ionesco
Personaggi e interpreti
Lei – Liliana Paganini
Lui – Gianpaolo Poddighe
Benedetto – Franco Scaldati
Finale di partita
di Samuel Beckett
Personaggi e interpreti
Hamm – Gianpaolo Poddighe
Regia, scene e costumi: Piero Carriglio
Regista assistente: Salvo Tessitore
Scene realizzate dagli allievi dell’Istituto Statale d’Arte di Palermo:
Paolo Alicata, Debora Aricò, Claudio Badagliacca, Sebastiano Bruno, Roberta Ciambra, Maria Teresa Croce, Michele Cutrano, Emanuele D’Amico, Francesco Di Salvo, Marco Di Salvo, Salvatore Gumina, Marco Intravaia, Marco Lo Cascio, Carlo Milano, Marco Parrino, Daniela Rienzi, Alberto Vitale
Coordinamento: Salvatore Lo Jacono, Vincenzo Napoli
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