Poesia per Prometheus: ‘I ritorni’ di Quasimodo

Una vita in viaggio e un verso che torna sempre al Sud. Tra memoria, strade notturne e voci perdute: Quasimodo cerca casa nella poesia

una copertina per la poesia I Ritorni di Salvatore Quasimodo
Poesia per Prometheus: ‘I ritorni’ di Quasimodo – rivistaprometheus.it

Salvatore Quasimodo (foto), nato a Modica il 20 agosto del 1901 da Gaetano e Clotilde Ragusa, trascorre l’infanzia tra Messina e Palermo. Il padre, capostazione delle Ferrovie dello Stato, lo trascina in continui spostamenti attraverso la Sicilia: da Gela alla val Plàtani, da Trabia a Palermo, da Roccalumera a Messina.

Di Messina conserva un ricordo di dolore: il terremoto del 1908. Il padre viene trasferito d’urgenza nella zona del disastro e la famiglia vive prima in un carro merci, poi in una baracca di legno e infine nella casetta di cemento armato del quartiere americano. Una tragedia che lascia ferite nella città e nell’immaginario collettivo.

A Palermo studia all’istituto tecnico matematico-fisico. A Messina stringe amicizia con Pugliatti e La Pira; con quest’ultimo fonda “Il nuovo giornale letterario”, avvicinandosi al futurismo. Nel 1919 è a Roma e frequenta ingegneria, lavorando come disegnatore, commesso e poi impiegato del Genio Civile tra Reggio Calabria, Imperia e Cagliari, fino a Milano grazie a Montale e all’intercessione di Angiolo Silvio Novaro.

Per un periodo si allontana dalla poesia, ma ritrova presto la sua voce. Con il gruppo di Solaria pubblica le prime poesie nel 1930 e, nello stesso anno, la raccolta Acque e terre. Seguono Oboe sommerso (1932), Erato e Apollion (1936) e Poesie (1938).

Nel 1940 pubblica la celebre traduzione dei Lirici greci, apprezzata per intensità poetica più che per fedeltà filologica. In questi anni ottiene una cattedra al Conservatorio “G. Verdi” di Milano e lavora alla redazione di “Tempo”.

Arrivano poi le opere centrali del suo percorso: Ed è subito sera (1942), Con il piede straniero sopra il cuore (1946), Giorno dopo giorno (1947), La vita non è sogno (1949), Il falso e vero verde (1954), La terra impareggiabile (1958), Dare e avere (1966). A queste si aggiungono saggi sul teatro e la poesia.

Nel 1959 riceve il Premio Nobel per la Letteratura: un riconoscimento tanto importante quanto controverso. A fianco degli elogi compaiono critiche feroci, spesso rivolte più all’uomo che al poeta. Ma in quella dualità – poeta non amato dai poeti, traduttore criticato dai filologi – emerge comunque l’autore capace di tenere insieme mito e realtà, ermetismo e impegno civile.

Muore il 14 giugno 1968 per emorragia cerebrale, tra Amalfi e Napoli, mentre presiedeva un premio di poesia. Riposa al Cimitero Monumentale di Milano.


I ritorni

Tornano, tra il fasto barocco della romana piazza Navona… — in questi versi Quasimodo cerca l’eco della sua terra: l’odore della frutta secca, le lanterne, la voce della madre. Una memoria che consola ma non salva: “ai morti non è dato di tornare”.

Piazza Navona, a notte…

Piazza Navona, a notte, sui sedili
stavo supino in cerca della quiete,
e gli occhi con rette e volute di spirali
univano le stelle,
le stesse che seguivo da bambino
disteso sui ciottoli del Plàtani
sillabando al buio le preghiere.

Sotto il capo incrociavo le mie mani
e ricordavo i ritorni:
odore di frutta che secca sui graticci,
di violaciocca, di zenzero, di spigo;
quando pensavo di leggerti, ma piano,
(io e te, mamma, in un angolo in penombra)
la parabola del prodigo,
che mi seguiva sempre nei silenzi
come un ritmo che s’apra ad ogni passo
senza volerlo.

Ma ai morti non è dato di tornare,
e non c’è tempo nemmeno per la madre
quando chiama la strada;
e ripartivo, chiuso nella notte
come uno che tema all’alba di restare.

E la strada mi dava le canzoni,
che sanno di grano che gonfia nelle spighe,
del fiore che imbianca gli uliveti
tra l’azzurro del lino e le giunchiglie;
risonanze nei vortici di polvere,
cantilene d’uomini e cigolio di traini
con le lanterne che oscillano sparute
ed hanno appena il chiaro d’una lucciola.

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